Proust : “… In ogni campo, il nostro tempo ha la mania
di voler mostrare le cose solo insieme a ciò che le circonda nella realtà, e di
sopprimere così l’essenziale, l’atto dello spirito che le isolò da essa…”. Questa frase di Marcel Proust descrive il significato che rappresenta il mio fare fotografia.
L’ “atto dello
spirito” è riconoscere per sé l’istante perfetto in cui la messa a fuoco
mentale, prima che tecnica, è precisa al millimetro. Basta un mezzo passo in
avanti o di lato, mezzo centimetro più in alto del primo sguardo per tagliare
l’inquadratura nei punti stabiliti. Stabiliti chissà quando, chissà in quale
effettivo momento dentro di noi.
Le mie fotografie sono il processo finale
di vitalità interiori remote ancora pulsanti, cattedrali di memorie
silenziose che fanno da fondale spesso inconsapevole al dinamismo del quotidiano. Immagini preesistenti che la mente riporta alla luce.
Io fotografo ciò che io sono. Nulla come una fotografia, può raccontare ciò che siamo, la nostra cultura, il nostro modo di stare al mondo.
Poichè una fotografia è l'atto di salvare una parte dal tutto, il vissuto personale diventa lama, una
lama di nome sguardo. Il taglio non è compiuto dall'occhio, ma dal vissuto, dal chi siamo in quel preciso istante.
Per coltivare
lo sguardo e lasciare che il taglio fotografico accada con buona qualità a me occorre tempo,
lentezza, riflessione.
La mia fotografia non è la mia osservazione del mondo ma è, al contrario, l'espressione del mondo che in me si muove, l' atto del mio spirito, appunto.
Il mio fare fotografia è anche il tentativo di
riprendere una condizione importante e sempre meno praticata: l’attesa.
L’attesa a volte sofferta, a volte serena, delle cose che riporta il tempo, il
sottrarsi alla frenesia del suo ritmo incalzante per tornare a separare
l’insieme, disfare l’immensa matassa di questa contemporaneità un po’ depressa
e disorientata e tagliare ciò che in quel preciso momento per me non ha
significato.